mercoledì 9 gennaio 2013

Cicale al carbonio 23



                                        Ventitrè


Marco e Beatrice stavano seduti su una panchina, sul lungolago di Bardolino. Erano da poche partite le donne impegnate nel Triathlon Internazionale, ragazze con la muta nera, pesci enormi che sguazzavano verso la grande boa, posta a settecentocinquanta metri dalla partenza.
C’era afa, il lago era una lastra, evento assai raro sul lago di Garda alla fine di giugno.
Sul prato antistante la spiaggia della partenza i diversi gruppi dei triathleti maschi attendevano il suono della sirena: prima i campioni, via via gli altri, compresi alcuni settantenni che ancora avevano il coraggio di affrontare un triathlon olimpico: millecinquecento metri di nuoto, quaranta chilometri di bici e dieci chilometri di corsa, senza soluzione di continuità.
“Ti ricordi la traversata?” disse Marco a Beatrice. “Chissà che fine ha fatto la mia muta.”
“Ma non l’avevi regalata a tuo cugino?”
“Non me l’ero tenuta per ricordo?”
“Bò…”

***

Mirko Pedruzzoli, giornalista de La Gazzetta dello Sport, inviato a Bardolino per far cronaca di quel Triathlon, uno dei più prestigiosi del circuito internazionale, aveva riconosciuto Marco Marchi e non s’era lasciato scappare l’occasione. Una decina di domande, alle quali il ciclista aveva risposto con pazienza e disponibilità, anche perché da qualche tempo s’era messo in mente che avrebbe ripreso le gare, che sarebbe tornato più forte di prima. Aveva sbagliato, ma il solo modo per cancellare la figura da impostore era quello di dimostrare che valeva una Maglia Rosa anche senza epo.
Beatrice aveva portato pazienza, non aveva risposto a una domanda del Pedruzzoli, s’era limitata a sorridere davanti al fotografo.
Ora s’era tuffato in acqua l’ultimo gruppo di triathleti, quello dei più scarsi, gente che avrebbe completato la gara ben sopra le tre ore.
“Andiamo nella zona bici a vedere il cambio?” disse Marco.
Beatrice non rispose. I suoi piccoli occhi chiari stavano annegando a centrolago.
“Mi ascolti?”
“Scusa…dicevi…”
“Dicevo di andare a vedere il cambio.”
“Se vuoi…io….”
“Tu?”
“Preferirei stare qui, sperando che non arrivi altra gente a rompere…”
“Ochei…bene…”
Dopo qualche minuto Marco cominciò a malsopportare il loro silenzio, riempito dalle comunicazioni degli altoparlanti, dal vociare dei turisti e dei tifosi, dal ronzare dell’elicottero sopra le loro teste.
“Tutto a posto?” chiese a Beatrice.
Si guardarono negli occhi. Beatrice era ingessata dentro un mezzo sorriso. Avrebbe voluto regalargli tutta la verità che le marciva dentro ma se ne uscì con un “A posto, a posto, andiamo pure a vedere il cambio” che Marco accettò con più di un sospetto.

*** 

Videro il cambio nuoto bicicletta, e poi bicicletta corsa. Applaudirono ai vincitori, poi fecero il bagno in una caletta, accessibile solo a pochi intimi. Per raggiungerla bisognava possedere le chiavi di un cancello e loro le avevano, perché amici dei proprietari. Marco si spinse al largo, Beatrice si limitò a sedersi nell’acqua, lasciando che il lago quieto le coprisse i seni. Si puntellava alle braccia tese all’indietro, con le dita rivoltava la ghiaia del fondo. Quando sentiva caldo buttava la testa verso il sole, intingeva i capelli e li lasciava sgocciolare. Teneva d’occhio Marco; con lui ce la faceva, con l’ansia no, che saliva e la intossicava. Non era da stronze parlarne ora? Dopo un anno? O subito o niente. Confessare adesso, quando finalmente Marco era tornato in sella e tutto avrebbe desiderato, fuorché seguire il filo di quella storia di tradimento? Non l’avrebbe mai saputo. Con lui era finita per davvero. Giorni incredibili ma ne era valsa la pena? Temeva che, a stare zitta, quel malessere le sarebbe durato tutta la vita.

***   

“Ottimo” disse Marco, dopo una leccata al gelato, gusto fragola. Lui prendeva solo e sempre fragola e fiordilatte.
Stavano su un’altra panchina, zona sud di Bardolino, isolati. Era già buio. Era giugno ma poteva essere agosto.
‘Manca l’aria’ e Beatrice lo pensò. Non gustava il gelato, non gustava le luci né il buonumore di Marco.
“Certo che oggi sei strana forte.”
Beatrice lo guardò e gli stampò in fronte un viso inebetito. Una smorfia più che un sorriso. O si alzava o confessava.
Marco cominciò a raccontare di un suo collega, che se la faceva con una badante ucraina.
Beatrice s’alzò dalla panchina e prese la direzione della spiaggia.
“Che fai?”
“Camminiamo…vuoi?”
“Dai, fammi finire il gelato seduto” e allungò la mano libera dalla cialda per arpionare la mano di lei. Mancò la presa. Beatrice era già scappata troppo avanti.
Marco le corse incontrò.
Beatrice si fermò e si voltò di scatto: “Non ce la faccio.”
Ormai glielo aveva detto.

***

Bepi Tommasi, proprietario di una delle gelaterie più frequentate di Bardolino, la stessa scelta da Beatrice e Marco per il loro cono, aveva deciso di fare quattro passi verso la spiaggia, insieme a Giuseppe Zoni, triathleta locale che quel giorno, in gara, era arrivato trecentodiciottesimo, scendendo sotto le tre ore. Giuseppe stava raccontando a Bepi di aver perso tre minuti buoni durante il cambio nuoto bicicletta, perché la lampo della muta s’era incastrata, quando Bepi sentì il vociare di un litigio in fondo alla spiaggia, verso il lago.
“Ma quelli non sono Marco e sua moglie?”
Giuseppe frugò nella poca luce dei lampioni. “Forse.”
“Sono loro, e litigano di brutto” disse Bepi. Vide Marco strattonare Beatrice e portarsi di corsa verso l’acqua. “Ma che sta facendo?”
Nella notte si sentì lo sciabordio dei piedi di un uomo che corre nel lago.

*** 
Anche Marco aveva tradito Beatrice e lo confessò, subito dopo che lei aveva fatto il nome del suo amante lavenese. Si abbracciavano e intanto parlavano e camminavano con i piedi a mollo nel lago. Si baciavano mischiando il sapore delle labbra e della verità, che s’imponeva senza vergogna. Sentivano freddo. Se ne andava il peso dall’anima. Quella nuova sincerità li rendeva invincibili. E anche un po’ folli.
Marco trascinò Beatrice in avanti.  Ora l’acqua saliva al ginocchio, ai fianchi. Sentì la voce allarmata di qualcuno che li chiamava dalla riva, sentì lei che diceva di no ma insieme che desiderava quella pazzia.
“Scusa” disse Beatrice.
“Scusa” disse Marco.
Da complici si tuffarono nel lago di Garda, in piena notte, al buio, in quell’acqua che pareva di pece, senza pensare più a niente, se non a stringersi per scaldarsi. Ma in acqua furono costretti a sciogliersi, per cercare un nuoto impacciato.
“Che freddo” disse Beatrice.
“Bestia, si gela” disse Marco.
Il pensiero di nuotare verso il largo mutò subito in un nuoto affannato verso la riva, ridendo e tremando.
Nell’uscire sgocciolanti dal lago videro due uomini che si allontanavano verso le luci della strada.
“Ci hanno visti” disse Beatrice.
“E chi se ne frega” disse Marco.
“E adesso?” chiese Beatrice. Intendeva come fare ora, bagnati fradici, per raggiungere casa senza prendersi la broncopolmonite.     
“E adesso ti amo” rispose Marco, che aveva interpretato quell’adesso come una domanda lanciata nel tempo a venire.
                                                                                23-continua

    
    


   














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