Ventitrè
Marco e Beatrice stavano
seduti su una panchina, sul lungolago di Bardolino. Erano da poche partite le
donne impegnate nel Triathlon Internazionale, ragazze con la muta nera, pesci
enormi che sguazzavano verso la grande boa, posta a settecentocinquanta metri
dalla partenza.
C’era afa, il lago era una lastra, evento assai raro sul
lago di Garda alla fine di giugno.
Sul prato antistante la spiaggia della partenza i diversi
gruppi dei triathleti maschi attendevano il suono della sirena: prima i
campioni, via via gli altri, compresi alcuni settantenni che ancora avevano il
coraggio di affrontare un triathlon olimpico: millecinquecento metri di nuoto,
quaranta chilometri di bici e dieci chilometri di corsa, senza soluzione di
continuità.
“Ti ricordi la traversata?” disse Marco a Beatrice. “Chissà
che fine ha fatto la mia muta.”
“Ma non l’avevi regalata a tuo cugino?”
“Non me l’ero tenuta per ricordo?”
“Bò…”
***
Mirko Pedruzzoli, giornalista de La Gazzetta dello Sport,
inviato a Bardolino per far cronaca di quel Triathlon, uno dei più prestigiosi
del circuito internazionale, aveva riconosciuto Marco Marchi e non s’era
lasciato scappare l’occasione. Una decina di domande, alle quali il ciclista
aveva risposto con pazienza e disponibilità, anche perché da qualche tempo
s’era messo in mente che avrebbe ripreso le gare, che sarebbe tornato più forte
di prima. Aveva sbagliato, ma il solo modo per cancellare la figura da
impostore era quello di dimostrare che valeva una Maglia Rosa anche senza epo.
Beatrice aveva portato pazienza, non aveva risposto a una
domanda del Pedruzzoli, s’era limitata a sorridere davanti al fotografo.
Ora s’era tuffato in acqua l’ultimo gruppo di triathleti,
quello dei più scarsi, gente che avrebbe completato la gara ben sopra le tre
ore.
“Andiamo nella zona bici a vedere il cambio?” disse Marco.
Beatrice non rispose. I suoi piccoli occhi chiari stavano
annegando a centrolago.
“Mi ascolti?”
“Scusa…dicevi…”
“Dicevo di andare a vedere il cambio.”
“Se vuoi…io….”
“Tu?”
“Preferirei stare qui, sperando che non arrivi altra gente a
rompere…”
“Ochei…bene…”
Dopo qualche minuto Marco cominciò a malsopportare il loro
silenzio, riempito dalle comunicazioni degli altoparlanti, dal vociare dei
turisti e dei tifosi, dal ronzare dell’elicottero sopra le loro teste.
“Tutto a posto?” chiese a Beatrice.
Si guardarono negli occhi. Beatrice era ingessata dentro un
mezzo sorriso. Avrebbe voluto regalargli tutta la verità che le marciva dentro
ma se ne uscì con un “A posto, a posto, andiamo pure a vedere il cambio” che
Marco accettò con più di un sospetto.
***
Videro il cambio nuoto bicicletta, e poi bicicletta corsa.
Applaudirono ai vincitori, poi fecero il bagno in una caletta, accessibile solo
a pochi intimi. Per raggiungerla bisognava possedere le chiavi di un cancello e
loro le avevano, perché amici dei proprietari. Marco si spinse al largo,
Beatrice si limitò a sedersi nell’acqua, lasciando che il lago quieto le
coprisse i seni. Si puntellava alle braccia tese all’indietro, con le dita
rivoltava la ghiaia del fondo. Quando sentiva caldo buttava la testa verso il
sole, intingeva i capelli e li lasciava sgocciolare. Teneva d’occhio Marco; con
lui ce la faceva, con l’ansia no, che saliva e la intossicava. Non era da
stronze parlarne ora? Dopo un anno? O subito o niente. Confessare adesso,
quando finalmente Marco era tornato in sella e tutto avrebbe desiderato,
fuorché seguire il filo di quella storia di tradimento? Non l’avrebbe mai
saputo. Con lui era finita per davvero. Giorni incredibili ma ne era valsa la
pena? Temeva che, a stare zitta, quel malessere le sarebbe durato tutta la
vita.
***
“Ottimo” disse Marco, dopo una leccata al gelato, gusto
fragola. Lui prendeva solo e sempre fragola e fiordilatte.
Stavano su un’altra panchina, zona sud di Bardolino,
isolati. Era già buio. Era giugno ma poteva essere agosto.
‘Manca l’aria’ e Beatrice lo pensò. Non gustava il gelato,
non gustava le luci né il buonumore di Marco.
“Certo che oggi sei strana forte.”
Beatrice lo guardò e gli stampò in fronte un viso inebetito.
Una smorfia più che un sorriso. O si alzava o confessava.
Marco cominciò a raccontare di un suo collega, che se la
faceva con una badante ucraina.
Beatrice s’alzò dalla panchina e prese la direzione della
spiaggia.
“Che fai?”
“Camminiamo…vuoi?”
“Dai, fammi finire il gelato seduto” e allungò la mano
libera dalla cialda per arpionare la mano di lei. Mancò la presa. Beatrice era
già scappata troppo avanti.
Marco le corse incontrò.
Beatrice si
fermò e si voltò di scatto: “Non ce la faccio.”
Ormai glielo
aveva detto.
***
Bepi Tommasi,
proprietario di una delle gelaterie più frequentate di Bardolino, la stessa
scelta da Beatrice e Marco per il loro cono, aveva deciso di fare quattro passi
verso la spiaggia, insieme a Giuseppe Zoni, triathleta locale che quel giorno,
in gara, era arrivato trecentodiciottesimo, scendendo sotto le tre ore.
Giuseppe stava raccontando a Bepi di aver perso tre minuti buoni durante il
cambio nuoto bicicletta, perché la lampo della muta s’era incastrata, quando
Bepi sentì il vociare di un litigio in fondo alla spiaggia, verso il lago.
“Ma quelli
non sono Marco e sua moglie?”
Giuseppe
frugò nella poca luce dei lampioni. “Forse.”
“Sono loro, e
litigano di brutto” disse Bepi. Vide Marco strattonare Beatrice e portarsi di
corsa verso l’acqua. “Ma che sta facendo?”
Nella notte
si sentì lo sciabordio dei piedi di un uomo che corre nel lago.
***
Anche Marco
aveva tradito Beatrice e lo confessò, subito dopo che lei aveva fatto il nome
del suo amante lavenese. Si abbracciavano e intanto parlavano e camminavano con
i piedi a mollo nel lago. Si baciavano mischiando il sapore delle labbra e
della verità, che s’imponeva senza vergogna. Sentivano freddo. Se ne andava il
peso dall’anima. Quella nuova sincerità li rendeva invincibili. E anche un po’
folli.
Marco
trascinò Beatrice in avanti. Ora l’acqua
saliva al ginocchio, ai fianchi. Sentì la voce allarmata di qualcuno che li
chiamava dalla riva, sentì lei che diceva di no ma insieme che desiderava
quella pazzia.
“Scusa” disse
Beatrice.
“Scusa” disse
Marco.
Da complici
si tuffarono nel lago di Garda, in piena notte, al buio, in quell’acqua che
pareva di pece, senza pensare più a niente, se non a stringersi per scaldarsi.
Ma in acqua furono costretti a sciogliersi, per cercare un nuoto impacciato.
“Che freddo”
disse Beatrice.
“Bestia, si
gela” disse Marco.
Il pensiero
di nuotare verso il largo mutò subito in un nuoto affannato verso la riva,
ridendo e tremando.
Nell’uscire
sgocciolanti dal lago videro due uomini che si allontanavano verso le luci
della strada.
“Ci hanno
visti” disse Beatrice.
“E chi se ne
frega” disse Marco.
“E adesso?”
chiese Beatrice. Intendeva come fare ora, bagnati fradici, per raggiungere casa
senza prendersi la broncopolmonite.
“E adesso ti
amo” rispose Marco, che aveva interpretato quell’adesso come una domanda
lanciata nel tempo a venire.
23-continua
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