Questo raccontino ha un retroterra lontano, ma lo spunto mi è stato offerto da un tipo con il cane. Ero in bici, sulla salita del Campo dei Fiori. L'ho salutato e lui mi ha risposto: "Non sprechi il suo fiato per salutare. Io non saluto mai proprio per questo, per far risparmiare fiato ai ciclisti." L'uomo col cane non sapeva con chi stava parlando, con un cultore della respirazione salvafiato.
COME
UN TRENO A VAPORE
di carlozanzi
E
il dialogo si interruppe. Solo fiato lungo e pedalate dopo il tornante che
volgeva a destra, presentando ai due ciclisti lo strappo della Prima Cappella.
Niente più racconti, confidenze, battute e qualche parola colorita. Ora la salita
richiedeva concentrazione. Lui voleva staccarlo, sapeva di potercela fare, sino
a quella curva era preparazione, riscaldamento, un accarezzare i muscoli e il
cuore prima della progressione.
Silenzio.
Lui era dietro, l’altro capì che sarebbe stato costretto a sopportare la baldanza
di chi gli succhiava la ruota, e la sua testardaggine di non volergliela dare
vinta. Il che significava una gran fatica, cuore a centosettanta per molti
minuti e –con probabilità- una sconfitta. Che ci poteva stare, se quello che lo
seguiva non fosse della razza bastarda che minimizza e poi va a raccontarla
agli amici, colorando la vittoria con qualche balla. Il che lo amareggiava. Ma
era pronto a sopportare, perché la sua voglia di batterlo comunque prevaleva.
Silenzio.
Un’auto li sorpassò, gas maleodorante li avvolse, lui, quello dietro, il primo
a lanciare tacitamente la sfida, cominciò a darci dentro con la respirazione. “Come
un treno a vapore” era il suo ritornello, “una lunga inspirazione e poi due
espirazioni forzate, come una locomotiva, e fregatene se gli altri sentono il
tuo fiato, se la tua respirazione viene giudicata troppo appariscente, ciò che
conta è buttare dentro più aria possibile nei polmoni e tirarla fuori, se resta
dentro ristagna, fuori, con slancio, con forza….ciò che conta è batterli…ricorda:
come un treno a vapore.”
E
la locomotiva iniziò il suo fischio, la profonda e lunga inspirazione e poi la doppia
espirazione con brio, prima un vento impercettibile e poi un crescendo, che si
arrampicava sulla salita, in progressione di pendenza, sino ad un considerevole
tredici per cento non lontano dal ponte della funicolare.
Lui,
che gli stava a mezzo metro, cominciò la rimonta, sempre più vicino alla ruota
dell’amico che lo precedeva, ma l’amico non mollava. Venti centimetri e l’altro
tornava a trenta, quaranta, cinquanta, lui si riportava sotto e l’altro si
avvantaggiava di nuovo.
Non
accettò il verdetto. Scalò di due denti, rischiò un rapporto più duro e ripresa
con la baldanza della sua respirazione. Si avvicinò, quasi toccò la ruota
posteriore dell’amico, lo affiancò, lo superò cavalcando la bici come fosse un puledro
imbizzarrito e lui sopra, a soffiare, ripetendosi ‘come un treno a vapore, come
un treno a vapore’.
Lo
sorpassò, lesse sul viso la grande fatica dell’altro, sconfitta dalla sua
superiorità, volle strafare, guadagnare un buon margine per riposarsi nell’ultimo
tratto gestendo il vantaggio.
Le
api non hanno il divieto di attraversare la strada. Ne passava giusto una quel
pomeriggio, uscita dal prato che affiancava la via. Vide il ciclista in testa
ma calcolò d’istinto che ce l’avrebbe fatta a passare.
Ma
anche le api sbagliano i calcoli. Era all’altezza grossomodo della guancia
destra del pedalatore quando venne sballottata da un doppio refolo di vento,
che la sbilanciò. In rapida successione un profondo vortice in direzione
opposta la trascinò dentro una buia caverna, la bocca vogliosa d’ossigeno del
primo in classifica. L’ape impaurita si difesa nel solo modo possibile.
Lui
capì d’aver messo in bocca qualcosa di improprio, sentì un ronzare, poi un
bruciore fortissimo, un dolore pungente che lo obbligò a fermarsi. Cercò di
tossire. Sganciò i fermapiedi rischiando di cadere malamente, appoggiò i piedi
a terra, con la canna della bici in mezzo alle gambe. Volle disperatamente
respirare ma non ci riuscì. Un gonfiore doloroso aveva bloccato ogni entrata.
L’amico,
che era stato distaccato di almeno cento metri, ci mise un po’ ad arrivare. Quando
gli fu di fianco, non poté far altro che raccoglierlo fra le braccia.
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