martedì 9 luglio 2013

Il racconto del mercoledì

                                                                      foto di alberto bortoluzzi



Questo raccontino ha un retroterra lontano, ma lo spunto mi è stato offerto da un tipo con il cane. Ero in bici, sulla salita del Campo dei Fiori. L'ho salutato e lui mi ha risposto: "Non sprechi il suo fiato per salutare. Io non saluto mai proprio per questo, per far risparmiare fiato ai ciclisti." L'uomo col cane  non sapeva con chi stava parlando, con un cultore della respirazione salvafiato.


COME UN TRENO A VAPORE
di carlozanzi


E il dialogo si interruppe. Solo fiato lungo e pedalate dopo il tornante che volgeva a destra, presentando ai due ciclisti lo strappo della Prima Cappella. Niente più racconti, confidenze, battute e qualche parola colorita. Ora la salita richiedeva concentrazione. Lui voleva staccarlo, sapeva di potercela fare, sino a quella curva era preparazione, riscaldamento, un accarezzare i muscoli e il cuore prima della progressione.
Silenzio. Lui era dietro, l’altro capì che sarebbe stato costretto a sopportare la baldanza di chi gli succhiava la ruota, e la sua testardaggine di non volergliela dare vinta. Il che significava una gran fatica, cuore a centosettanta per molti minuti e –con probabilità- una sconfitta. Che ci poteva stare, se quello che lo seguiva non fosse della razza bastarda che minimizza e poi va a raccontarla agli amici, colorando la vittoria con qualche balla. Il che lo amareggiava. Ma era pronto a sopportare, perché la sua voglia di batterlo comunque prevaleva.
Silenzio. Un’auto li sorpassò, gas maleodorante li avvolse, lui, quello dietro, il primo a lanciare tacitamente la sfida, cominciò a darci dentro con la respirazione. “Come un treno a vapore” era il suo ritornello, “una lunga inspirazione e poi due espirazioni forzate, come una locomotiva, e fregatene se gli altri sentono il tuo fiato, se la tua respirazione viene giudicata troppo appariscente, ciò che conta è buttare dentro più aria possibile nei polmoni e tirarla fuori, se resta dentro ristagna, fuori, con slancio, con forza….ciò che conta è batterli…ricorda: come un treno a vapore.”
E la locomotiva iniziò il suo fischio, la profonda e lunga inspirazione e poi la doppia espirazione con brio, prima un vento impercettibile e poi un crescendo, che si arrampicava sulla salita, in progressione di pendenza, sino ad un considerevole tredici per cento non lontano dal ponte della funicolare.
Lui, che gli stava a mezzo metro, cominciò la rimonta, sempre più vicino alla ruota dell’amico che lo precedeva, ma l’amico non mollava. Venti centimetri e l’altro tornava a trenta, quaranta, cinquanta, lui si riportava sotto e l’altro si avvantaggiava di nuovo.
Non accettò il verdetto. Scalò di due denti, rischiò un rapporto più duro e ripresa con la baldanza della sua respirazione. Si avvicinò, quasi toccò la ruota posteriore dell’amico, lo affiancò, lo superò cavalcando la bici come fosse un puledro imbizzarrito e lui sopra, a soffiare, ripetendosi ‘come un treno a vapore, come un treno a vapore’.
Lo sorpassò, lesse sul viso la grande fatica dell’altro, sconfitta dalla sua superiorità, volle strafare, guadagnare un buon margine per riposarsi nell’ultimo tratto gestendo il vantaggio.
Le api non hanno il divieto di attraversare la strada. Ne passava giusto una quel pomeriggio, uscita dal prato che affiancava la via. Vide il ciclista in testa ma calcolò d’istinto che ce l’avrebbe fatta a passare.
Ma anche le api sbagliano i calcoli. Era all’altezza grossomodo della guancia destra del pedalatore quando venne sballottata da un doppio refolo di vento, che la sbilanciò. In rapida successione un profondo vortice in direzione opposta la trascinò dentro una buia caverna, la bocca vogliosa d’ossigeno del primo in classifica. L’ape impaurita si difesa nel solo modo possibile.
Lui capì d’aver messo in bocca qualcosa di improprio, sentì un ronzare, poi un bruciore fortissimo, un dolore pungente che lo obbligò a fermarsi. Cercò di tossire. Sganciò i fermapiedi rischiando di cadere malamente, appoggiò i piedi a terra, con la canna della bici in mezzo alle gambe. Volle disperatamente respirare ma non ci riuscì. Un gonfiore doloroso aveva bloccato ogni entrata.

L’amico, che era stato distaccato di almeno cento metri, ci mise un po’ ad arrivare. Quando gli fu di fianco, non poté far altro che raccoglierlo fra le braccia.  

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