BISTURI
di carlozanzi
Erano
le undici e ventotto di un martedì di primavera. Entrando nella stanza filtro,
pensò che aveva già fame. Davanti a lui un intervento chirurgico che lo avrebbe
impegnato due ore almeno. Di ciò si dispiacque. Si svestì degli abiti borghesi,
tolse anello, orologio, indossò gli abiti di lavoro, compresa mascherina e cappellino. Diede inizio al lavaggio delle
mani e degli avambracci. Il rumore dell’acqua gli fece venire sete.
L’equipe
lo attendeva. Ripassarono insieme l’operazione, notò che era come pensava, cioè
faceva parte della squadra anche l’infermiera più bella di tutto il nosocomio.
Di ciò ci compiacque. Entrò in sala operatoria, indossò il camice sterile, i
guanti, l’anestesista iniziò ad intubare il paziente, altri regolarono il fascio
della lampada scialitica, vide le garze sterili e la sezione nuda del corpo del
malato, già disinfettata.
Non
aveva più fame né sete. Si concentrò, ripassò la successione degli eventi,
delle manovre, guardò la bella infermiera, scacciò l’immagine distraente, che
li vedeva abbracciati in un letto, nudi e felici, quindi disse, con tono
solenne, allungando le braccia in avanti e muovendo le dita come per fare il
solletico all’aria: “Bisturi.” La strumentista glielo passò.
Un
pensiero lo bloccò. Immaginò il fluire delle preghiere che,
molto probabilmente, avevano preceduto il suo operare da esperto chirurgo; vide
le tante orazione che forse si stavano rincorrendo in quell’attimo in chiese
lontane, luoghi di lavoro, appartamenti privati, e le successive, di
ringraziamento, che avrebbero salutato quell’intervento piuttosto impegnativo.
Raccolse
due pensieri precisi. Il primo: quante parole buttate al vento, quanto tempo
sprecato. Il secondo: tutto dipendeva solo e soltanto da lui, dalla sua mano
ferma, dal millimetro in più o in meno, dalle tante ore impiegate sui libri
(quelle sì, ben spese), dalla lunga pratica ospedaliera che ora gli regalavano
quel posto di prestigio, ritto in piedi davanti ad un uomo inerme, nelle sue
mani.
Osservò
il luccichìo del bisturi, lo sollevò leggermente, vide il suo viso deformato,
ci si specchiò con orgoglio.
“Professore…”
disse l’aiuto, notando la sua immobilità.
‘Già,
è tempo di intervenire’ pensò, ‘dimostrando una volta di più che Dio può
rincuorare, ma ciò che conta è tagliare bene.’
Stava
per inchinarsi verso l’operando, quando non gli sfuggì un rapido segno di
croce, disegnato dalla infermiera carina.
Mai
se lo sarebbe aspettato. Si rimise dritto, passò il bisturi alla strumentista,
che restò interdetta, e si avvicinò alla ragazza.
“Ma
che ha fatto?” disse.
“Ciò
che non ha fatto lei, professore” rispose la donna con un sorriso che si
leggeva negli occhi, piccoli soli sopra l’orizzonte della mascherina.
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