martedì 7 maggio 2013

Il racconto del mercoledì





L’uomo della pietra

Con gesto sacrilego, un uomo si giudicò senza peccato e raccolse una pietra da terra. Ne valutò il peso, la grandezza, la ributtò nella polvere e ne cercò un’altra, più adatta, meno leggera, più spigolosa. Era nervoso, non aveva dormito bene, voleva far pagare a qualcuno la sua delusione: quel giovane poteva andar bene. Si era unito al gruppo, spinto alla temerarietà dalla piccola massa che, a cerchio, osservava Stefano, accusandolo di possedere una fede nuova.
Il giovane, bello, dai lunghi capelli, si era alzato dal letto felice di essere idealista. Ma già alle prime minacce aveva pensato: ‘Perché mai dovrei rischiare la vita?’ La sua fedeltà al figlio divino di Maria e di Giuseppe era meno salda del legaccio dei suoi sandali. In principio aveva resistito alle prime domande (‘Davvero ci credi? Credi a quell’uomo di stracci? Finito inchiodato alla croce?), con tanti sì sì ci credo, è Lui il Messia, ma alle prime minacce di morte un’ansia di vita, che si chiama paura, gli aveva annebbiato la convinzione.
E la folla cresceva, il terrore lo invadeva e davvero era sul punto di gridare: “Fermatevi, avete ragione, ho troppa paura, non sono capace di morire per Lui” ma inciampò, nell’attimo esatto di quel gesto sacrilego, la pretese di un uomo che scaglia una pietra, giudicandosi senza peccato, abilitato a condannare.
Quella prima pietra, lanciata nell’aria da una mano pavida e molle, non avrebbe colpito il ragazzo, perché quell’imbecille nemmeno possedeva una buona mira. Lo avrebbe sfiorato e chissà, completando la sua traiettoria, sarebbe finita sui piedi di un altro piccolo uomo, pronto con una pietra in mano. Ma Stefano, col cuore al galoppo, inciampò e allungò le braccia verso la polvere, per attutire la caduta sui sassi dell’Asia Minore. Inclinato in avanti, fu lui a cercare la pietra, ad andargli incontro. Il sasso trovò nel suo volo la tempia destra di Stefano. Perché non la spalla? Il fianco? Un ginocchio? Perché proprio la tempia, così delicata, così mortale? Stefano non sarebbe morto all’istante, solo ferito, si sarebbe rialzato, avrebbe chiesto scusa a quei mentecatti, avrebbe tradito il suo Dio ma conservato la vita, così preziosa, così degna d’essere amata. Perché proprio su quel lato debole dell’uomo?
Certe domande bisognerebbe rivolgerle a Dio, pur sapendo che non risponderà. Ma Stefano ebbe solo il tempo di morire da martire.
Vedendolo disteso e muto, immobile e convinto, i non cristiani che lo accerchiavano si sentirono in diritto (qualcuno persino in dovere) di lanciare altre pietre. Ma Stefano, bello e infelice, era già morto.
Questi i fatti del protomartirio.
Dirò solo, come epilogo, che quella prima pietra mortale fu lanciata da un uomo così miserabile da aver accumulato, nei suoi cinquant’anni, non saggezza ma rabbia, non comprensione ma invidia. Ma c’è un riscatto per tutti e Dio certo avrà visto la scena (forse l’avrà favorita), avrà notato che l’uomo della pietra si scollò subito dalla massa, non restò a contemplare in un delirio fanatico le conseguenze di quel lancio; tornò a casa di corsa, abbracciò la moglie, pianse e disse più volte: “Mi devi perdonare, mi devi perdonare, almeno tu che mi ami.”


dedico questo racconto breve a San Vittore martire, patrono di Varese, nel giorno della sua Festa


                                                                         











                                                                  

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